sabato 9 giugno 2007

Divorare. Luca Giordano, Vincenzo Campi, Annibale Carracci.


Vincenzo Campi (Cremona, 1536-1591). I mangiatori di ricotta. Musée des Beaux-Arts di Lione


Annibale Carracci (Bologna, 1560 - 1609). Il Mangiafagioli. Galleria Colonna, Roma

Ho in mente quattro quadri, il primo della metà del '500, i secondi di età barocca, che mettono in scena il divorare.

Vincenzo Campi rappresenta dei popolani che si ingozzano di ricotta. Annibale Carracci un uomo che mangia di gusto un piatto di fagioli (il cibo è seducente, notate l'interessante pizza farcita in primo piano, sembra ripiena di verdura). Luca Giordano rappreenta sia un uomo in cappa da filosofo, ma con la faccia instolidita dallo strafogarsi, che si abboffa di pasta, che un altro più francamente popolano, pure intento al solo infilarsi in bocca una manciata di spaghetti.

In effetti solo l’uomo dei fagioli ha una fame bella, gusta il piatto con occhi vividi, intelligenti. Mentre i popolani di Campi e gli uomini di Giordano hanno la faccia imbestialita, gli occhi persi.

La rappresentazione dell’atto del mangiare, del masticare, è imbarazzante. I rari rappresentati sono popolani, gente che non conta, che non ha nome. Non è così per l'atto sessuale. In entrambi i casi entriamo nell’area dei peccati capitali; tuttavia la lussuria, come l’accidia, la superbia, l’ira, l’invidia, l’avarizia, non provocano la stessa inibizione. Anzi, vengono alla mente grandi quadri esplicitamente o nascostamente celebrativi di tali vizi. E non sempre c’è la morale a metterci su la foglia di fico. Quanto all’accidia, con la sua evoluzione addirittura arriva, nel rinascimento, alla nobile malinconia.


Luca Giordano (Napoli 1634-1705) rappresenta per due volte Il gusto con un mangiamaccheroni.


Il primo è a Vienna, nel Kunsthistorisches Museum. Questo è proprio un divoratore malinconico, lamentoso, preso da una mangiata triste, lacrimosa. Mangia e si pente. Va ricordato che la fisionomia, l'abbigliamento non sono da vero popolano: sono da filosofo cinico (altri filosofi dipinti da Giordano sono tali e quali, solo non si ingozzano, anzi sembrano campare d'aria nel loro essere sciupati); in questo caso, c'è un gioco complesso di rimandi.  La filosofica avidità immortalata contiene chissà quale allusione o predica o scherzo o morale. Come il Mangiafagioli, il filosofo ha a portata di mano delle cipolline fresche. Quanto hanno ragione, l'uno e l'altro! La cipollina fresca è perfetta compagna di una quantità di cibi.

l secondo sta a Princeton, University Art Museum. Anche qui, c'è un ingurgitare "villano", senza gioia.

L'immagine di Campi viene da descubrirelarte.es, quella di Carracci da atlantedellarteitaliana.it.
Quelle di Giordano da www.italica.rai.it e da mesbeauxarts.tumblr.com

Quanto alla celebrazione del cibo ma anche al timore dell'avidità, vengono alla mente le nature morte del Seicento e Settecento, sempre accompagnate da una necessità di predica, di memento mori, di assunzione in cielo dei vini, dei pesci, delle carni rappresentate. Certo, ciò concerne sicuramente il discorso della critica attuale, meno sappiamo dell'intenzione di pittori e committenti, che comunque cambia nel corso del tempo ed è comunque strutturalemnte ambigua, polivalente, e in definitiva sfuggente.

Non parliamo poi dell’Ottocento, e ancor più del Novecento, quando sembrerà che non si possa rappresentare che casta frutta, priva di carne e sangue e sughi e cucinati sapori.

La memoria va indietro, fino a Villa Giulia, al frontone del tempio di Pyrgi, ai due eroi della Tebaide che si affrontano ferendosi reciprocamente a morte, a quello dei due che, moribondo, addenta il cranio dell'altro morente per succhiarne il cervello. Il banchetto più terribile al quale si possa assistere. Certo quell'età non ha avuto remore nel rappresentare la drammaticità di un pasto. Pasto che Dante ricordò per commemorare Ugolino.

2 commenti:

enza ha detto...

Un excursus perfetto per tener viva la voglia di cultura che ogni tanto si assopisce

artemisia comina ha detto...

un tema che mi seduce, vorrei sempre avere il tempo per scrivere, per entrarci dentro.

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